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FRANKENSTEIN: Intervista a Bernard Rose

In occasione dell’uscita nelle sale italiane del suo Frankenstein, distribuito da Barter Entertainment, abbiamo intervistato Bernard Rose, il regista di Candyman – Terrore dietro lo specchio!

[Luca Ruocco]: Come è nata l’idea di lavorare su “Frankenstein” e come si è approcciato ad un caposaldo della letteratura gotica?

[Bernard Rose]: Mary Shelley intuì nel suo romanzo, pubblicato quasi duecento anni fa, che l’obiettivo ultimo della scienza era quello di creare la consapevolezza. Il suo romanzo è ancora molto attuale perché ancora non siamo vicini al raggiungimento di questo obiettivo, nonostante i molti progressi scientifici e tecnologici fatti da allora. In parte ciò è dovuto al fatto che non abbiamo davvero idea di cosa sia la coscienza, nonostante tutti noi abbiamo “esperienza” di essa. Questo è ciò che mi ha più affascinato, insieme all’idea di raccontare la storia esclusivamente dal punta di vista del mostro, in modo da raccontare l’esperienza del film attraverso i suoi occhi e quindi provare a vivere in parte la sua tragedia, quella di un essere senziente, che poi è la base stessa della sacralità di ogni vita – se la creatura pensa e sente di essere consapevole e meritevole di amore e protezione. Con questa idea in mente mi è sembrato corretto spogliare il romanzo originale di tutti i crismi, preservando le idee di Mary Shelley in modo che il pubblico potesse vivere la storia nello stesso modo in cui la fruì il pubblico di duecento anni fa.

[LR]: Calandosi nell’epoca contemporanea, la creatura del suo “Frankenstein” non è più un puzzle di cadaveri, così come ci insegna la storia del cinema horror, ma un essere creato dal nulla, una modifica strutturale che si collega a tutto un discorso di etica e scienza molto attuale. Ci dice qualcosa in più su questa scelta?

[BR]: La rianimazione di un cadavere fatto di tanti parti anatomiche cucite insieme non è descritta nel romanzo di Shelley.  È un’invenzione delle prime versioni cinematografiche… del classico del 1931 di James Whale, interpretato da Boris Karloff. Shelley si limita a dire che Victor Frankenstein “crea la vita” e decide di non entrare nei dettagli, per evitare che qualcuno possa seguire le sue orme. La soluzione del cadavere rianimato è molto efficace nel film, ma in realtà mina l’idea centrale di giocare a fare Dio. È per questo che nella mia versione il mostro viene creato con una stampante 3D da zero. È interessante notare che in Metropolis di Fritz Lang una donna viene creata da zero come un doppelgänger malefico – molti dettagli di questa sequenza sono stati presi in prestito nel film di Whale.

[LR]: Il film da ampio spazio a degli effetti splatter e sanguinari che sembrano voler richiamare un’estetica da horror anni ’90, vecchia scuola.  È un riferimento centrato?

[BR]: Mi piace vedere “Horror” nei miei film horror. Per me il pubblico deve sentire che il regista non farà risparmiare loro nulla e che gli spettatori saranno sottoposti al livello massimo di Grand Guignol. Per me è una cosa fondamentale per il Genere, che altrimenti diventa solo una serie di “jump gags”!

[LR]: “Frankenstein” ha generato negli anni davvero tanti adattamenti cinematografici. L’ultimo che ho amato molto, una variante molto libera, è stato “Splice” di Vincenzo Natali. Quali sono, invece, i suoi “Frankenstein” preferiti e perché?

[BR]: Frankenstein e La moglie di Frankenstein di James Whale e il loro fratellastro: il Frankenstein Junior di Mel Brooks. Sono tre film essenziali. Mi piace anche Lo spirito dell’alveare di Victor Erice, che è una risposta molto brillante e originale a questi film. Per divertimento vorrei aggiungere Il mostro è in tavola… barone Frankenstein di Andy Warhol e Paul Morrissey.

Luca Ruocco

Marzo 2016

InGenere Cinema

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